• Stati Uniti
- 2014 - 90'
Lingua: Inglese, spagnolo e tagalog - Sottotitoli: Italiani
Anteprima: Italiana

SINOSSI

Nel 2011 il giornalista premio Pulitzer Jose Antonio Vargas sì è autodenunciato come immigrato illegale, con un clamoroso articolo sul New York Times Magazine. Arrivato bambino dalle Filippine, Vargas ha scelto di rischiare in prima persona e attraversa gli Stati Uniti raccontando la sua storia in solidarietà con gli oltre 11 milioni di clandestini che vivono nel paese. Il suo impegno per una riforma delle leggi sull’immigrazione lo mette in contatto con molti di loro, in particolare quelli come lui cresciuti negli USA, ma l’esperienza susciterà anche il desiderio di rincontrare la madre, dopo oltre 20 anni.

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DICHIARAZIONE

«Si stima che ogni giorno 1.100 immigrati vengano deportati dagli Stati Uniti, sarebbero stati quasi 2 milioni negli ultimi 5 anni, un record. Ma non io: sono un privilegiato perché sono ancora in America, la mia casa, e ho potuto realizzare e mostrare il mio film Documented. Sono diventato giornalista, e poi regista, per conoscere il mio paese e capire quale fosse il posto mio posto in esso, in quanto immigrato clandestino filippino-americano e omosessuale. Da nuovo arrivato in America che ha imparato a “parlare americano” guardando film, sono convinto che per contribuire a cambiare le politiche di immigrazione e cittadinanza dobbiamo cambiare la cultura, il modo in cui mostriamo il ruolo di persone illegali come me e il nostro ruolo nella società. Documented è quindi per me tanto un atto artistico quanto politico: io non sono il “clandestino” che pensate, e l'immigrazione non è quello che credete. Dopo essermi autodenunciato pubblicamente come immigrato illegale con un articolo su The New York Times Magazine nel giugno 2011, avevo previsto di fare un film sul movimento di giovani clandestini “DREAMers”, dal progetto di legge sull'immigrazione denominato DREAM, da tempo bloccato al Congresso. Avevo scritto e reso pubblica la mia storia, pensavo di essere a posto con la mia coscienza e che fosse il momento di documentare altre storie. Mi sono invece accorto che mi aspettavano domande ancor più difficili: come potevo raccontare la mia storia senza includere mia madre, che mi aveva messo a 12 anni su un aereo per gli Stati Uniti, e non vedevo da allora? Fare questo film è diventato così più doloroso, conflittuale e personale. Alla fine non è il film che prevedevo di fare, ma quello che ho avuto bisogno di fare. Una politica dell'immigrazione inefficiente significa famiglie e vite spezzate, io stesso non mi rendevo conto quanto fosse spezzata anche la mia, finché non ho capito quanto lo era quella di mia madre. Nel raccontare la mia storia ho finito per raccontare la sua e i sacrifici dei tanti genitori che hanno reso l'America quello che è, allora come oggi. E se nel farlo ho portato alla luce una verità universale, spero questo incoraggi altri a raccontare le loro storie». Jose Antonio Vargas

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